sabato 27 ottobre 2012

Getaway!

East End, casale abbandonato, quartier generale della mafia russa

                  Cerco di concentrare l’attenzione sulla carta da parati giallo sporco, sulle tendine in nylon alle finestre, spalancate per illuminare la stanza. Mi focalizzo sui tavoli, sulla vodka sopra di essi. Sui mobili, sui due televisori, persino sui computer. Perché non può essere vero. Non posso trovarmi davvero al QUARTIER GENERALE. Circa 30 paia d’occhi sovietici mi fissano confusi, mentre le mani schizzano ad impugnare Makarov e AK-47. In men che non si dica mi ritrovo puntati contro 15 cannoni. Un fottuto esercito. Una cazzo di Delta Force russa pronta a ridurmi ad un colabrodo. E io che speravo mi avessero trascinato in qualche scantinato dell’East Side, qualche casupola dimenticata da dio dove farmi fuori senza problemi. E invece ero destinato a diventare un dannato trofeo per questa gente, da esibire di fronte a tutta la gang. Le mura e le porte devono essere insonorizzate, probabilmente per evitare che le urla provenienti dalla “sala della tortura” in cui ero rinchiuso poco fa disturbino gli affari gestiti nella sala principale. Altrimenti non si spiegano le facce un po’ sorprese dei mafiosi qui davanti che di certo non si aspettavano di veder uscire me, tutto insanguinato, da quella porta.
                  Il tempo che le loro non certo brillanti menti si rendano conto di quanto sia accaduto e leggo nei loro occhi la mia condanna a morte. Alzo la mano sinistra in segno di resa mentre con la destra poggio delicatamente il revolver a terra. Sono fottuto. Il cuore mi continua a martellare nelle orecchie e agisco come un automa, perché so che non c’è più niente da inventarsi con questa gente. Il mio Jolly quotidiano l’ho già giocato, cinque minuti fa in uno sgabuzzino, con una pistola puntata alla fronte. Non posso essere così fortunato.
                  E invece sì.
Un secondo prima, probabilmente, che il primo dei gorilla russi prema il grilletto per poi essere seguito a ruota da tutti gli altri… li sento. Gli spari. Provengono da fuori, dal giardino trasandato che intravedo dalle finestre. I sovietici si voltano per cercar di capire cosa succede: se ricordo bene il loro modus operandi, il perimetro è circondato da almeno il doppio delle guardie. Praticamente impenetrabile. Poi però la vedo: la buca delle lettere nella porta del casale che si apre, una granata che scivola lungo il pavimento e rotola fino a fermarsi per inerzia al centro della stanza.
                  La notano anche i russi e in pochi istanti è il panico. Tavoli vengono rovesciati, alcuni tentano di uscire da finestre o porte, altri si accalcano lungo le pareti, si buttano a terra. Io non so cosa cazzo stia succedendo ma capisco che se voglio uscirne vivo questo è il momento. Faccio dietrofront e mi sbatto la porta alle spalle, mentre una raffica di proiettili si conficca nel legno dell’uscio. Faccio appena in tempo a lanciarmi a terra e la granata esplode: tappo le orecchie e apro la bocca per compensare. L’edificio trema, la lampadina difettosa sopra di me si spegne definitivamente. Posso solo immaginare la carneficina nella camera che ho appena lasciato: c’era davvero troppa gente in troppo poco spazio. Gli autori di questo massacro devono essere gente senza scrupoli… ma in un modo o nell’altro gli devo la vita. Ma non ho tempo di pensare. Mi rialzo e, muovendomi a tastoni, mi precipito verso l’altra porta del corridoio, sperando che stavolta sia quella giusta. Ogni passo è un calvario per il buco del proiettile nel polpaccio. Il braccio della spalla colpita mi pende inerte al fianco, i punti sono saltati, le ferite riaperte. Sono disarmato, dolorante, sanguino: non è proprio il momento buono per incontrare qualcuno. Ma devo uscire fuori di qui, e in fretta. Passo la porta davanti a me mentre dietro di me e tutto intorno al casale spari ed esplosioni si susseguono. La testa mi scoppia per la febbre.
                  Scale. Scendo. Incespico due o tre volte sui gradini ma la gamba buona regge e non cado. Odore di umidità e di muffa che trasuda dalle pareti. Il cuore in gola, non riesco a respirare. In fondo alle scale apro la porta dello scantinato, stavolta con cautela. E’ un garage di grosse dimensioni, dentro ci saranno parcheggiate almeno cinque auto nere, Mercedes principalmente. C’è penombra, le luci sono spente. L’unica illuminazione proviene dal portone esterno semi aperto. Da fuori provengono raffiche di mitra: un piccolo sorcio sovietico deve essersi nascosto qui dentro pur sapendo di cacciarsi in una trappola. Ho un piccolo capogiro e mi appoggio alla parete. Cazzo, vecchio, non è il momento per accusare gli acciacchi dell’età. Devi venirne fuori intero. Devi rivedere Aileen.
                  Mi guardo intorno e vedo una cassetta degli attrezzi rovesciata. Un cacciavite bello lungo. Lo prendo e comincio ad aggirarmi circospetto tra le automobili, l’arma improvvisata impugnata e pronta a colpire, la gamba ferita che strascica dietro di me e gli occhi allucinati. Non certo un bello spettacolo. Allontanarmi di qui a piedi in queste condizioni è fuori dal mondo, devo trovare un’altra soluzione. Butto un’occhiata dentro le Mercedes: chiavi nel cruscotto. Bingo.
                  Respiro, tento di placare il battito cardiaco ma questo non vuole saperne. Che giornata di merda. Rinuncio ai miei inutili esercizi zen e avanzo finché non lo vedo, rannicchiato dietro un SLK, con un Kalashnikov in mano. Trema visibilmente, sa di essere fottuto. Non ho pietà e confermo i suoi timori: gli arrivo alle spalle e gli pianto il cacciavite nel collo con violenza. Il sangue schizza attorno, il povero stronzo gorgoglia qualcosa poi crolla. Mors tua vita mea, cazzo. Impugno il fucile, so benissimo che deve essere rimasto meno di mezzo caricatore, ma è tutto ciò che ho. Fuori la sparatoria prosegue, ma ad intervalli sempre più lunghi. Qualunque sia la fazione vincitrice sta “pulendo la zona”, occupandosi dei sopravvissuti nemici. Non ho tempo. Monto in macchina e giro la chiave nel quadro.
                  Non so chi sia stato così pazzo da assaltare il QG dei russi, so solo di non potermi fidare di nessuno. Non ho amici a questo mondo e devo cavarmela da solo. Non so cosa mi aspetta fuori dal portellone del garage, so che se non do gas adesso mi ritroverò circondato in pochi istanti da russi, ispanici, negri o dio solo sa cosa. E allora schiacciamo questo acceleratore. Il motore romba e io schizzo verso il portone semichiuso, impossibile passarci sotto. Me ne fotto e tiro dritto. Sfondo il portone e sbandando mi ritrovo nel vialetto esterno. La luce solare mi acceca per un momento poi vedo le due auto accostate a sbarrare la strada per la fuga, mentre tre o quattro tizi con i loro mitra cominciano a sparare. Abbasso la testa per evitare i proiettili e prego che la lamiera di questa auto sia sufficientemente solida. Gli stronzi fanno fuoco e il parabrezza mi esplode addosso in mille schegge. Ne sto perdendo di sangue: la mia vista comincia ad annebbiarsi e non riesco a capire chi è che mi sta sparando, se sono russi o meno. Ma se c’è una cosa che ho imparato da parecchio tempo è che se qualcuno ti spara addosso non può essere un amico.
                  Punto alle macchine che bloccano la via e accelero. Non è il primo posto di blocco che forzo e la polizia, di solito, li fa meglio. C’è un punto preciso tra la coda di una macchina e la punta dell’altra in cui è possibile incunearsi: basta avere una macchina resistente e la giusta quantità di cavalli sotto il culo. D’altronde, non ho niente da perdere.
                  Accelero.

domenica 21 ottobre 2012

Stop & Go

          Ci sono giorni in cui devi fermarti. Non perché tu sia stanco né perché ti sei mosso troppo. Non vuol dire nemmeno che tu debba restare immobile, anzi. Devi fermare la testa, staccare il cervello per quella giornata, tornare ad essere un Uomo.
          Ci sono giorni in cui devi scollarti dalla tastiera e tornare NEL mondo.
Sono giorni in cui l'unica cosa che abbia senso fare è infilare un casco, allacciarti il giubbotto di pelle e inforcare la tua moto. Non è importante la meta, non è importante la velocità. Non è nemmeno importante la compagnia. Perché in fondo, in sella, sei solo. Solo. Come quando si nasce o si muore.
           Ci sono giorni in cui hai bisogno di perderti nelle Terre Selvagge, fra un tornante e l'altro, fra una collina dolce e un altopiano verdeggiante, costeggiando ruscelli e attraversando ponti di pietra. Leggero e nel tuo vestito migliore. Assaporare il calore del sole e l'umidità del sottobosco, dare gas sul rettilineo e subito dopo scalare marcia bruscamente, in staccata. Urlare a squarciagola i classici dell'Hard Rock quando il motore ruggisce coprendo ogni suono, anche quelli nella tua testa. Restare muti in contemplazione osservando il paesaggio dalla vetta.

            Tutto questo per dirvi che oggi il vostro autore di noir preferito "riposa". Ricarica le pile, fa il pieno di benza e sorride sotto il sole di questo ottobre stupendo. Nero su Nero torna la prossima settimana, e non ci saranno cazzi per nessuno, garantisco.

Lamps

domenica 14 ottobre 2012

Behind the enemy lines

da "qualche parte" nell'East End

                Ok, è buio e sono legato, questo è quanto. La testa mi gira come se all’interno un gruppo di piccoli teppisti si stesse divertendo sugli autoscontri. Doppio trauma cranico nel giro di mezzora, non esattamente il mio genere di “serata tipo”. Devo recuperare la lucidità e devo farlo in fretta. Sono in una piccola stanza, un sottoscala probabilmente, davanti a me distinguo una porta dal cui stipite filtra una luce debole.



                  Cerca di ricordare, vecchio, dove sei? Immagini sfocate si affacciano alla mia mente: mi scaricano dal furgone, mi legano, mi urlano contro qualcosa, mi riempiono di calci. Mi passo la lingua fra i denti e ne sento distintamente uno che si stacca. Lo sputo per terra e impreco sottovoce. I ragazzi si sono sfogati per la morte del loro compare, ma è chiaro che hanno ricevuto l’ordine di conservarmi vivo e integro, più o meno. Testimone è il fatto che le mie ferite da arma da fuoco sono state medicate, i proiettili nella spalla e nel polpaccio estratti. Credo che i boss vogliano togliersi la soddisfazione di persona. Quei due bastardi.
                  Passano le ore con una monotonia disarmante. Sento vaghe voci provenire da fuori, ma non capisco. D’altronde è russo, c’è poco da capire. Percepisco lo scorrere lento del tempo e il gonfiarsi dei lividi su braccia e gambe. Una fitta al costato. La faccia gonfia. Aileen non me lo perdonerà mai. In un raro momento di lucidità capisco realmente in che razza di casino mi sono ficcato. I russi. I fottuti russi. Un’intera carriera da contrabbandiere ad evitare di finire sotto le loro mani, un tira e molla che dura da trentanni. Poi “l’accordo”: anche se sarebbe meglio dire “il ricatto”. E adesso ancora una volta a rischiare la pelle per colpa loro. Merda.
                  Ragiona, vecchio, chi sa che sei qui? Nessuno, coglione. Devi esserti proprio rimbambito per l’età, cazzo. Tutte quelle menate sul tema “io lavoro da solo” e guarda com’è andata a finire. Tu non sei Bruce Willis, pezzo d’idiota. E questo non è Die Hard. Qui si muore davvero.
                  Già, si muore davvero. E morire per mano di questi stronzi sovietici è anche peggio. Cazzo: è la cosa più stupida che abbia mai fatto. Tentare un rapimento senza aver studiato la zona, non avere nessuno a guardarmi le spalle, nessun fottuto piano B. E non aver avvisato nessuno. Non si lavora così, un professionista non commetterebbe mai questi errori.
                  Ok, hai perso lucidità, può capitare. E’ coinvolto tuo figlio stavolta, la faccenda è delicata.
Mio figlio a cui non rivolgo la parola da dieci anni.
Tuo figlio a cui, nonostante tutto, vuoi bene.
Mio figlio che è l’unico che può davvero perdonarmi, aiutarmi a vincere i sensi di colpa.
Ma tu hai Aileen.
Sì, ma non conta: questa volta lei non c’entra. Non c’è mai entrata.
                  Smettila di commiserarti, vecchio. E ragiona. CHI sa che sei qui? I cinesi. Shin-Lang. Il figlio di puttana che mi ha cacciato in questo immenso casino. Il primo che pagherà una volta che sarò uscito di qui. Dopo tutto quello che ho fatto per quei musi gialli… fanculo.
                  Non passa molto poi, prima di vedere la porta aprirsi. Un paio di russi armati farfugliano qualcosa, poi fanno spazio ad un terzo. E ad un quarto. Questi due nuovi simpaticoni impartiscono ordini alle guardie, che subito sento allontanarsi lungo il corridoio. Per un attimo la luce artificiale mi acceca e vedo le loro sagome stagliarsi scure nell’arcata della porta, come implacabili giudici contro cui è vano lottare. Poi gli occhi si abituano e li vedo entrare ed avvicinarsi alla sedia dove sono legato. Non sono giudici, sono solo due cazzo di magnaccia slavi. Sempre loro, da trentanni, probabilmente gli unici boss ancora in carica dai miei tempi nelle gerarchie della criminalità locale. E ci sarà un fottuto motivo.
                  I fratelli Krushev in persona, quale onore! Krushev come il politico illuso di aprire la Russia all’Occidente. All’America. Ma qualsiasi persona di buon senso sa che i russi non saranno mai dei nostri: ci useranno, entreranno nelle nostre città e si fingeranno nostri amici, ma solo finché gli farà comodo. Poi troveranno il modo di fotterci. Non è razzismo o pregiudizio. Semplicemente noi faremmo lo stesso con loro: 40 anni di Guerra Fredda non si dimenticano facilmente. I fratelli Krushev, dicevo. Vladimir e Nicolaj. Più russi di così, si muore.
-     Nick, Vlad! Quanto tempo! Cazzo, devo dire che gli anni non sono stati poi così generosi con voi. Ehi, Nick, eri tu quello goloso di Hot Dog, vero? Devi avere un po’ esagerato negli ultimi tempi a giudicare dal grasso in eccesso. Dite la verità: vi sono mancato? -
Ci provo, a fare lo spavaldo. Ci provo, a non aver paura. La voce regge, non trema: ma Dio solo sa che dentro me la sto facendo sotto. Questi stronzi non si limitano ad uccidere: hanno letto tutti i manuali top-secret di CIA e KGB sulla tortura. E sanno metterli in pratica. Lo so perché l’ho visto fin troppe volte.
                  I due mi guardano, vedo i lineamenti duri e i volti segnati, la luce del corridoio che si riflette nel loro sguardo spietato. E’ tutto in bianco e nero, come in un noir degli anni cinquanta. Non credo che il mio approccio da simpatico cazzone abbia sortito effetto.  Non credo che ne verrò fuori vivo.
-     Ol’ James, vecchio stronzo. Hai avuto la tua possibilità di sparire, di far perdere le tue tracce. Un aereo per Parigi, un atollo nel Pacifico, Cuba, una cazzo di capanna sulla spiaggia in Brasile. Ma no, tu devi continuare ad osare, tu devi dimostrare che sei il più furbo, che puoi fare tutto ciò che vuoi. Bè, adesso hai finito di giocare –
La calata russa è appena percepibile, sono troppi anni che vive negli Stati Uniti per far notare il suo accento. E’ Nick che parla, mentre tira fuori il suo coltello e comincia a muovermelo davanti, usando la lama per riflettermi in faccia la luce artificiale. Non oso pensare cosa voglia farmi con quello.
-       Suvvia, Nick, perché le cose devono prendere questa piega? Sì, è vero, vi avevo detto che sarei sparito. E vi ho pagato profumatamente per lasciarmelo fare. Ma sono qui solo di passaggio, non ho alcuna intenzione di rimettermi in affari o di darvi fast… -
-      Shhhh – mi zittisce come un bambino mentre poggia la lama sulla mia guancia e comincia lentamente ad incidere. Le prime gocce di sangue scivolano lungo il collo.
-      E il meeting coi cinesi non significa niente, vero? O forse hai ricominciato a collaborare con loro? Chi traffica coi musi gialli, lo sai, è nostro nemico… –
Cazzo. Sanno tutto, l’hanno sempre saputo. Non mi resta che stare al loro gioco.
-       Ok, ok. Avete vinto. Trattiamo –
-    Trattare? Tu non hai più niente che ci interessa a parte la tua stessa vita. Hai perso ogni potere –
-    Suvvia, non prendetemi per un idiota totale – dovrebbero invece – vi sembra possibile che uno come me si cacci in un casino del genere senza nemmeno essere scortato? I miei colleghi “amici di Mao” avranno già circondato l’edificio a quest’ora. Lasciatemi andare e forse si limiteranno a far saltare in aria questo posto. Mentre voi due potreste aver salva la vita… già che ci penso, forse solo uno di voi due –
Leggo un lampo di dubbio nei loro occhi e prego che siano così idioti da stare al mio bluff.
-      Vuoi dire che hai fatto da esca per fargli trovare questo posto? Nessuno sarebbe così pazzo –
-       Sai com’è, quando uno non ha più niente da perdere… -
-      Ora basta stronzate – game over. Vladimir tira fuori la pistola e poggia la canna aderente alla mia fronte, mentre Nicolaj allontana il coltello. Dio, quanto la vedo brutta.
-       Ehi, cazzo, non mi offrite nemmeno l’ultima sigaretta? -
-       Va’ al diavolo, Ol’James –
-       Gli porterò i vostri saluti, sono sicuro che vi sta aspettando -
Vlad tira il cane e preme il grilletto. Peccato che la mia testa non sia più lì. In un lampo i muscoli del collo scattano, un secondo prima che il colpo esploda. La mia mascella si serra attorno alle dita del russo mentre l’esplosione accanto all’orecchio mi fracassa il timpano e mi stordisce. Mordo con tutte le mie forze, poi mollo. Con la testa che mi gira e la gamba ferita che chiede pietà faccio perno sui piedi legati e ruotando fracasso la sedia di legno addosso a Nick, che stava ancora aspettando di vedere le mie cervella spiattellate sul muro. Gli anni passano un po’ per tutti e anche i due figli di troia qui davanti devono essere invecchiati. I polsi li ho sciolti un quarto d’ora fa, così mi lancio a raccogliere il coltello di Nick mentre Vlad caccia un urlo e fa cadere la pistola mentre si guarda la mano sanguinante. Ringraziando il cielo sono più in forma di quel grassone di Nick così arrivo prima alla lama e gli tiro un fendente. Il bastardo urla e si ritrae e io faccio appena in tempo a segare i legacci alle caviglie che subito me lo ritrovo addosso. Il ciccione è forte e pesante e in men che non si dica mi ritrovo disarmato e a terra con le sue mani al collo. Provo a mollargli due pugni alla bocca dello stomaco, poi passo ai reni. Ma Nick non molla la presa e io comincio a soffocare. Con la coda degli occhi vedo Vlad che ha recuperato la pistola con la mano sinistra e la punta incerto verso il groviglio di carne che si sta pestando a pochi metri. Fortunatamente è così stravolto che non chiama aiuto subito, lasciandomi una minima speranza di uscirne intero.
                  Un momento prima di svenire riesco a divincolare una gamba e a sferrare un calcio nelle palle a Nick: un calcio debole, ma abbastanza preciso da fargli allentare le mani. Rincaro la dose con una testata sul suo setto nasale che esplode in uno spruzzo di sangue.
-    Spara, cazzo, SPARA! – grida il grasso figlio di puttana al fratello.
Vlad nel panico prende la mira e fa fuoco una, due volte.
                  Complice la mano poco allenata e qualche santo che devo indubbiamente avere in paradiso, i proiettili si conficcano nel grasso di Nick anziché nella mia testa. Non perdo l’occasione: recupero e scaglio il coltello dritto in fronte a Vlad. Le infinite notti trascorse a gareggiare ubriaco con freccette e coltelli nei pub irlandesi dell’East Side saranno pur servite a qualcosa. Il coltello si ficca direttamente in mezzo agli occhi del russo che crolla a terra di colpo. Mi giro e tiro un calcio in faccia a Nick che sta urlando come un matto a terra: tace di botto, non so se morto.
                  Sono senza fiato, spalla e polpaccio mi bruciano da morire e deve essermi salita una febbre spaventosa. Ma non ho tempo di fermarmi, gli scagnozzi di questi due saranno qui a momenti, non possono non aver sentito le urla da porco scannato di Nicolaj. Mi chino a raccogliere la pistola ancora nella mano di Vlad: è una rivoltella, Smith & Wesson, canna corta. Non la mia preferita ma quantomeno è un revolver. Ancora tre colpi per te… e non perdere il conto stavolta, vecchio.
                  Esco zoppicando dalla porta: un corridoio, due porte agli estremi, una lampadina sbilenca ad illuminare il tutto. Ce la puoi fare, vecchio, sei uscito vivo da situazioni peggiori. Adesso devi solo decidere: destra o sinistra. Destra o sinistra?
                  Destra. Mi muovo più velocemente possibile e spalanco la porta con la pistola spianata. Ma quello che vedo…. mi fa perdere la speranza una volta per tutte.


sabato 6 ottobre 2012

Il Demone dentro

Fantastico Mondo dei Mille Colori

         Sono in sella al mio destriero, lanciato al galoppo attraverso la campagna del Fantastico Mondo. Risplende al sole del primo mattino la mia lucente armatura di acciaio bianco. Sul petto, all'altezza del cuore, brillano dei lapislazzuli incastonati nella cotta di maglia, lucenti stelle della notte più scura. Il vento mi scompiglia i lunghi capelli corvini e io godo della fresca brezza mattutina, del tiepido calore dei raggi solari e della fiamma della Fede che mi arde nel cuore.
         Sono in viaggio per sgominare il Male, una volta per tutte. Il Male più oscuro e crudele, e proprio per questo il più difficile da individuare. I suoi infidi servitori sono ovunque, camuffati da pigri contadini o da ricchi e viscidi mercanti, da onesti fabbri o da sensuali cortigiane. Il Male divora, il Male corrompe i cuori e amplia le sue schiere ogni giorno che passa. Più di tutto, il Male consuma e fa consumare. Costringe ad aver bisogno di cose di cui non abbiamo bisogno. Consuma la vita e consuma la morte, corrode i valori, mette in vendita le lacrime, tratta e commercia in ricordi, si nutre di sorrisi di bambini e grida di madri. Il Male è nel denaro, nelle catene dei mutui bancari e nelle speculazioni dell'alta finanza. Il Male è nella politica, negli intrighi di corte, nel servilismo dei ministri e dei senatori. Il Male persegue uno e un unico scopo: l'asservimento totale dell'uomo alle sue regole di mercato. La schiavitù definitiva.
         Solo l'Ordine dei Bianchi Cavalieri si oppone al dilagare infestante del Male. Da cinquecento anni i miei confratelli si scontrano contro le orde oscure e le ricacciano nelle nascoste profondità da cui provengono. Da cinquecento anni il Nero Ventre del Male vomita sulla terra le sue abominevoli armate, facendo strage di innocenti.
         Oggi è il giorno. Il giorno del mio Sacrificio. Arriva un momento in cui ogni Bianco Cavaliere capisce che è giunto il giorno di immolare la propria vita per la Causa: esso parte per un lungo e periglioso viaggio da cui il ritorno è solo una remota possibilità. Ma il mio cuore è sereno e la mia mente è lucida. La lama nel fodero brama sangue del Nemico e i miei muscoli sono saldi e pronti a scattare per affrontare ogni sfida.
         Proseguo il mio galoppo senza senso e senza meta e il paesaggio intorno a me muta. Tutti sanno che il Male non ha fortezza, non ha regno. Il Male alberga ovunque e soprattutto nel cuore umano. Cercarlo in un luogo fisico è follia, il Male si manifesta solo quando desidera, tutto ciò che posso fare è attendere la sua comparsa. E così attraverso i Gialli Campi e resto abbagliato dagli enormi girasoli torreggianti, costeggio il Mare dalle Acque Purpuree, mi inoltro nella Foresta delle Nere Spine. Tempro la mia spada sulle gelide vette dei Ghiacciai Violacei e ridiscendo verso il Fiume della bollente Lava Arancio. Disseto la mia sete alla Verde Fonte e tingo il mio mantello nel Lago del Rosso Eterno. Viaggio per giorni che diventano mesi che diventano anni. Non so per quanto il Male abbia atteso il momento propizio, instillando il dubbio nel mio cuore. Il folle desiderio di abbandonare la Missione, la falsa consapevolezza di star perseguendo una Strada senza via d'uscita, una Caccia senza preda né predatore. Viaggio così a lungo da dimenticare persino il mio nome e da smarrire ogni coscienza di me al di fuori della mia Sacra Ricerca.
         Quando finalmente incontro le sue avanguardie il mio corpo è fiacco e il mio spirito debole. L'Inferno mi vomita addosso mostruosi Troll dalle Quattro Braccia e decine di minuscoli Spiriti Assassini. Impugno Asuril, la fedele Lancia del Vigore, e faccio strage di nemici. Mi si avventano contro Elfi Corrotti e formose Succubi... ma io non ho pietà di loro e bagno col loro sangue la mia lama grondante. Vengo assalito da creature di ogni foggia: talune cercano di blandirmi, altre di colpirmi alle spalle. Altre ancora tentano brutalmente di schiacciarmi come un insetto. Forte è la mia Fede e non risparmio alcun nemico perchè brilla in me la Luce della Verità. La mia bianca armatura viene macchiata dal sangue policromatico dei mostri mentre rifulgono sul mio cuore le perle color cobalto. Ma più ne elimino e più sembrano non finire mai, orrido simulacro della lotta di Ercole contro l'Idra. Il mio corpo viene ferito innumerevoli volte, la mia anima fustigata. Asuril viene spezzata e così tutte le mie armi benedette e consacrate.
         Sono circondato dal Nemico, senza alcuna via di fuga, e sono sul punto di cedere e raccomandare la mia anima alle Alte Stelle. Sono certo che morirò proprio lì, in quel punto, e che niente potrà cambiare questo fatto. Quando ecco spalancarsi la coltre di nubi che offuscava il cielo ed apparire Lui, l'Angelo, il messaggero di Speranza, l'araldo della Libertà e della Giustizia. Il suo volto non ha volto, i biondi capelli incorniciano un viso senza età e senza espressione. Egli non è composto di materia eppure sprigiona forza intorno a sé come un Guerriero di Luce. Lo guardo e lo adoro. Lo guardo e ogni fibra del mio essere lo ama. Lui mi consegna la Spada Alfa, artefatto mistico di ignota provenienza, capace di creare e di distruggere, sorgente di un potere quasi divino. La mia mano si poggia appena sull'elsa e un'improvvisa onda d'urto si diffonde attorno a me spazzando a terra le orde immonde che mi circondavano. Nuova vitalità e rinnovato coraggio si diffondono nelle mie vene.
         Il Male trema. Capisce che non mi fermerò finché non l'avrò spazzato via dal Fantastico Mondo per l'eternità. Così mi invia contro l'ultimo avversario. Il Demone dalle Cento Code, l'avatar fisico del Male stesso, gigante fatto di fiamme e scaglie, di vapore e metallo.
Questi mi fissa col suo sguardo di fuoco e io ricambio con la fierezza di un vero Bianco Cavaliere. Accanto a me l'Angelo svetta e brillando tiene il braccio teso e l'indice puntato verso l'oscura creatura che mi si staglia di fronte. Il Demone ruggisce fuori il suo disprezzo e la sua ira.
Io brandisco la Spada Alfa e carico.

         Mi sveglio di soprassalto e mi tiro su a sedere. Il letto è fradicio del mio sudore, io stesso sono zuppo. Ma sto bene. Ora sto bene. Dalla poltrona accanto mi fissa il mio fidato amico, Buddy, obeso e geniale come pochi stronzi al mondo. Mi fissa col suo sorriso sardonico di sempre, mentre fuma la sua solita canna d'erba.
         - Cazzo, amico. Stavolta devi esserti fatto un viaggio di cristo -