sabato 1 settembre 2012

Chiacchierata ai vespri sotto una pagoda indaco

East Side, angolo fra la 33esima e la 25esima.
 
       Risalire alle origini di tutto questo non è facile né indolore: bisogna rimestare in angoli bui dove i ricordi sono impastati con fango e sangue e ogni memoria esplode nella testa come il suono di una 44 magnum o di un bambino che piange. In alcuni terribili casi contemporaneamente.
        Quel pomeriggio di inverno esco di casa con l'inquietudine tipica del criminale di vecchia data, quello che sa che ogni minimo passo falso può condurlo in fondo al pozzo. E il pozzo, quando va bene, è un posto pieno di sbarre, secondini violenti e cibo scaduto. Quando va male, bè, lo sapete. Una sensazione che era fin troppo tempo che non provavo. Decido di non farci caso, in fondo non avevo più nulla da temere: niente conti in sospeso, niente affari in ballo. Da anni. Tanto era infatti che non varcavo i confini dell'East Side, che non annusavo l'odore tipico di un quartiere perduto e lasciato a marcire da ogni autorità. L'odore del quartiere in cui ho vissuto quasi tutta la mia vita. E quell'odore, no, non era affatto cambiato. Non cambia mai.
        L'East Side è una città nella Città. Un microcosmo popolato dalla peggiore feccia, segregata in un angolo per tenerne lontana la puzza, separata dalla “gente per bene”. L'East Side è un coltello piantato nella gola mentre una mano grassa e sudata ti tiene per le palle. Puoi venirci di notte o puoi venirci di giorno ma non sarà mai veramente illuminato: troverai sempre una veranda in cui far scivolare roba da una mano all'altra, una fogna in cui nascondere il frutto di una rissa finita male, un vicolo in cui far tua la troia più a buon mercato che sei riuscito a trovare. Questo lo so perchè per anni quelle ombre, quei chiaroscuri, sono stati il teatro del mio sporco lavoro. Ma ora non più: lasciare il giro non era stato facile, non lo è mai, avevo dovuto riscuotere non pochi favori, troncare numerose “amicizie” e spendere gran parte dei miei fottuti risparmi... ma alla fine ero uscito pulito. Magari col tempo avrei anche imparato a togliere la pistola da sotto il cuscino, nel sonno. Magari. Col tempo.
        La temperatura scendeva vertiginosamente col calare del sole così, una volta uscito dalla metro, mi accendo una sigaretta e mi incammino subito lungo la 33esima. Saranno state le sette di sera. Evito i soliti sacchi di rifiuti abbandonati sul marciapiede e rimango catturato dai murales che ricoprono quasi la totalità dei muri della strada. La luce del tramonto regala una sorta di tridimensionalità ai mostri e alle caricature dipinte, che svettano attorno a me come sinistri guardiani dell'inferno. Perchè è proprio quello che mi appresto a fare: scendere all'inferno. La fauna che popola la zona è la stessa di sempre: negri e ispanici che scazzano fuori dai locali, spacciatori e puttane che trattano coi clienti mentre grassi papponi sorseggiano cocktail e controllano il giro. Il solito. Dopo qualche passo spunta una mano da un vicolo laterale che nemmeno avevo notato e mi afferra il trench da dietro. Un altro classico: il tossico in astinenza che ti punta un serramanico in faccia per toglierti quei due soldi che hai faticosamente e disonestamente guadagnato. Ha delle occhiaie tremende, il viso emaciato da “ultimo stadio” e si regge a stento in piedi.
       - Bello quel cappotto, chissà quanto vale – comincia muovendo la lama a destra e a sinistra.
       - Probabilmente più di te, coglione -
Gli afferro il polso prima che riesca a replicare e glielo torco verso il basso finché non molla il coltello, poi lo trascino nel vicolo da cui è sbucato.
       - Ascoltami bene, piccolo figlio di puttana, lo so che sei troppo fatto per capire quello che ti succede intorno ma c'è una cosa che devi imparare: NON. CACARE. IL CAZZO. AGLI ANZIANI – sottolineo ogni parola con uno schiaffo, mentre lo tengo per il bavero.
        Per poco non si mette a piangere. Mpf. Non c'è più rispetto per le persone di una certa età. Mentre lo scuoto gli cadono dalle tasche dei pantaloni laceri una mezza dozzina di piccoli tubetti di colore azzurro che a prima vista non riconosco.
        - Ora sta buono! - gli sibilo a due centimetri dalla faccia prima di sbatterlo un'ultima volta contro il muro del vicolo. Lui si accascia al suolo come un sacco e io mi fermo a raccogliere uno di quei tubetti: le dimensioni sono quelle di un rossetto, hanno un cappuccio che nasconde la punta di un ago. Sul retro c'è un pulsante che fa emergere l'ago e consente l'iniezione di qualsiasi merda si spari in vena il tossico. Mi infilo il tubetto vuoto in tasca e me ne vado senza degnarlo di uno sguardo. Fanculo.
        Cammino per altri cinque minuti, il tempo di un'altra sigaretta, poi alzo gli occhi e vedo in lontananza la mia destinazione: la storica pagoda indaco sull'insegna gialla, il takeaway di Tai-chi. Conoscevo il vecchio cinese da più di una vita, abbastanza per fidarmi della sua discrezione sulla mia incursione nell'East Side. Quando mi avvicino al bancone lo riconosco subito: Il lungo pizzetto bianco ancora al suo posto, qualche ruga in più sul viso tondo, forse, ma lo sguardo ancora vigile e penetrante come un tempo. Immutato e immobile alla sua postazione da chissà quanti anni, come un soldato troppo diligente durante il turno di guardia. Uno dei pochi veri monumenti dell'East Side.
       - Ni hao, mio vecchio amico, ti porgo i miei saluti –
Tai-chi era sempre stato uno all'antica, e quella certa formalità lo rassicurava e gli garantiva un certo alone da persona rispettabile e saggia. Sulla saggezza niente da obiettare ma quanto alla rispettabilità, bè, bisognerebbe chiedere a quel russo rompicoglioni che il vecchio Tai fece a pezzi, anni fa. Un pezzo alla volta, con meticolosità e perizia, curandosi di fermare ogni volta l'emorragia: per far sì che il divertimento non finisse troppo presto.
Quando mi vede per poco non mi riconosce.
       - Oh, chi si vede da queste parti! Harry “Ol' James” Scott in persona che mi onora della sua compagnia. Non sei affatto invecchiato in questi anni -
       - Vorrei che fosse la verità, Tai-chi, ma non siamo tutti fortunati come te. In ogni caso l'onore è solo mio, ma dimmi... fai ancora i noodles più buoni di tutto l'East Side? -
        Non risponde ma sorride, mostrando la sua dentatura perfetta nonostante l'età avanzata, e si mette subito al lavoro sui fornelli. Perché alla sua età e con la sua posizione all'interno della mafia cinese ancora si affatichi tagliando e friggendo verdure e frutti di mare resta un mistero. Dopo pochi attimi mi porge con delicatezza un cartoccio caldo che emana un profumo delizioso, poi si ferma a guardarmi dritto negli occhi.
       - Ma tutti e due sappiamo che non sei qui per i miei spaghetti. O mi sbaglio, forse? -
        - Non sbagli. E qualcosa mi dice che già conosci il motivo che mi ha riportato quaggiù, dopo tanto tempo -
       Lo sguardo di Tai-chi si oscura leggermente mentre il sorriso svanisce dal suo volto. Capisco che non riprenderà il discorso se non sarò io a introdurlo per primo, forse spera di sbagliare o semplicemente teme di offendermi in qualche modo. Respiro profondamente.
        - Voglio sapere di Junior, Tai-chi -
Il vecchio cinese sospira, poi inizia a parlare come se un peso insostenibile lo schiacciasse in fondo al cuore.
       - A dirti la verità, Scott, sono preoccupato. Il ragazzo sta pestando i piedi sbagliati, non mostra rispetto per nessuno, di questo passo... -
       - COSA fa esattamente? -
       - Droga. Ha creato un giro nel quartiere negli ultimi mesi, spaccia una sostanza nuova, mai sentita prima. La chiamano Cobalto -
       - Droga – mi fermo a riflettere.
Le voci che mi erano arrivate erano vere, allora. La mano corre nell'impermeabile a toccare il tubetto azzurro che avevo raccolto poco prima. Rischio di perdermi nei miei cupi pensieri ma so che Tai-chi non ha ancora finito.
       - Il problema, Scott, non è la droga, lo sai. Qui nell'East Side nasce un nuovo giro ogni giorno, spacciatori vengono fatti fuori e il giorno dopo rimpiazzati come se nulla fosse. Ma ci sono sempre state delle regole. Regole dinanzi cui tutti, i più grandi come i più piccoli, si sono dovuti piegare. Tu lo sai bene: territori, limiti, tangenti da pagare. Tuo figlio se ne fotte, Scott. I miei ragazzi hanno beccato i suoi che smerciavano roba fuori dalle scuole medie: ci vanno i nostri bambini lì. Shin-Lang non aspetta altro che spezzargli le gambe, non appena lo avrà sotto mano... io, per rispetto a te, tento di tenerli a bada ma è sempre più difficile -
       Abbasso lo sguardo mentre, scuro in viso, rispondo a Tai-chi.
       - Ti ringrazio, ma non posso chiederti tanto. Il ragazzo sta pisciando fuori dal vaso e lo si deve raddrizzare prima che qualcuno si faccia male. Ho bisogno di scambiarci due parole... ma immagino sia irreperebile -
       - Posso metterti in contatto con Shin-Lang, sta seguendo da vicino il giro di tuo figlio, potrebbe indicarti alcuni suoi spacciatori. E' una pista esile ma... -
        Quando poco dopo esco dal locale e mi incammino verso casa ho la testa talmente piena di pensieri che la sento martellare senza sosta dall'interno. Tiro fuori le Marlboro e me ne accendo una mentre guardo in faccia la notte che ormai è sopraggiunta. Il vento freddo mi taglia la faccia senza pietà. Infilo i guanti e premo i pugni in fondo alle tasche.
        Cristo santo, Junior. Che cazzo stai combinando?

1 commento:

  1. Il primo che mi fa notare che la pagoda in foto non è indaco vince in premio la fantastica possibilità di cercare su "google immagini" una AUTENTICA pagoda indaco da inserire. Che culo, eh?

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