East Side, angolo fra la 33esima e la 25esima.
Risalire alle origini di tutto questo non è facile né
indolore: bisogna rimestare in angoli bui dove i ricordi sono
impastati con fango e sangue e ogni memoria esplode nella testa come
il suono di una 44 magnum o di un bambino che piange. In alcuni
terribili casi contemporaneamente.
Quel pomeriggio di inverno esco di casa con l'inquietudine tipica
del criminale di vecchia data, quello che sa che ogni minimo passo
falso può condurlo in fondo al pozzo. E il pozzo, quando va
bene, è un posto pieno di sbarre, secondini violenti e cibo
scaduto. Quando va male, bè, lo sapete. Una sensazione che era
fin troppo tempo che non provavo. Decido di non farci caso, in fondo
non avevo più nulla da temere: niente conti in sospeso, niente
affari in ballo. Da anni. Tanto era infatti che non varcavo i confini
dell'East Side, che non annusavo l'odore tipico di un quartiere
perduto e lasciato a marcire da ogni autorità. L'odore del
quartiere in cui ho vissuto quasi tutta la mia vita. E quell'odore,
no, non era affatto cambiato. Non cambia mai.
L'East Side è una città nella Città. Un
microcosmo popolato dalla peggiore feccia, segregata in un angolo per
tenerne lontana la puzza, separata dalla “gente per bene”. L'East
Side è un coltello piantato nella gola mentre una mano grassa
e sudata ti tiene per le palle. Puoi venirci di notte o puoi venirci
di giorno ma non sarà mai veramente illuminato: troverai
sempre una veranda in cui far scivolare roba da una mano all'altra,
una fogna in cui nascondere il frutto di una rissa finita male, un
vicolo in cui far tua la troia più a buon mercato che sei
riuscito a trovare. Questo lo so perchè per anni quelle ombre,
quei chiaroscuri, sono stati il teatro del mio sporco lavoro. Ma ora
non più: lasciare il giro non era stato facile, non lo è
mai, avevo dovuto riscuotere non pochi favori, troncare numerose
“amicizie” e spendere gran parte dei miei fottuti risparmi... ma
alla fine ero uscito pulito. Magari col tempo avrei anche imparato a
togliere la pistola da sotto il cuscino, nel sonno. Magari. Col
tempo.
La temperatura scendeva vertiginosamente col calare del sole così,
una volta uscito dalla metro, mi accendo una sigaretta e mi incammino
subito lungo la 33esima. Saranno state le sette di sera. Evito i
soliti sacchi di rifiuti abbandonati sul marciapiede e rimango
catturato dai murales che ricoprono quasi la totalità dei muri
della strada. La luce del tramonto regala una sorta di
tridimensionalità ai mostri e alle caricature dipinte, che
svettano attorno a me come sinistri guardiani dell'inferno. Perchè
è proprio quello che mi appresto a fare: scendere all'inferno.
La fauna che popola la zona è la stessa di sempre: negri e
ispanici che scazzano fuori dai locali, spacciatori e puttane che
trattano coi clienti mentre grassi papponi sorseggiano cocktail e
controllano il giro. Il solito. Dopo qualche passo spunta una mano da
un vicolo laterale che nemmeno avevo notato e mi afferra il trench da
dietro. Un altro classico: il tossico in astinenza che ti punta un
serramanico in faccia per toglierti quei due soldi che hai
faticosamente e disonestamente guadagnato. Ha delle occhiaie
tremende, il viso emaciato da “ultimo stadio” e si regge a stento
in piedi.
- Bello quel cappotto, chissà quanto vale – comincia muovendo
la lama a destra e a sinistra.
- Probabilmente più di te, coglione -
Gli afferro il polso prima che riesca a replicare e glielo torco
verso il basso finché non molla il coltello, poi lo trascino
nel vicolo da cui è sbucato.
- Ascoltami bene, piccolo figlio di puttana, lo so che sei troppo
fatto per capire quello che ti succede intorno ma c'è una
cosa che devi imparare: NON. CACARE. IL CAZZO. AGLI ANZIANI –
sottolineo ogni parola con uno schiaffo, mentre lo tengo per il
bavero.
Per poco non si mette a piangere. Mpf. Non c'è più
rispetto per le persone di una certa età. Mentre lo scuoto gli
cadono dalle tasche dei pantaloni laceri una mezza dozzina di piccoli
tubetti di colore azzurro che a prima vista non riconosco.
- Ora sta buono! - gli sibilo a due centimetri dalla faccia prima
di sbatterlo un'ultima volta contro il muro del vicolo. Lui si
accascia al suolo come un sacco e io mi fermo a raccogliere uno di
quei tubetti: le dimensioni sono quelle di un rossetto, hanno un
cappuccio che nasconde la punta di un ago. Sul retro c'è un
pulsante che fa emergere l'ago e consente l'iniezione di qualsiasi
merda si spari in vena il tossico. Mi infilo il tubetto vuoto in
tasca e me ne vado senza degnarlo di uno sguardo. Fanculo.
Cammino per altri cinque minuti, il tempo di un'altra sigaretta, poi
alzo gli occhi e vedo in lontananza la mia destinazione: la storica
pagoda indaco sull'insegna gialla, il takeaway di Tai-chi. Conoscevo
il vecchio cinese da più di una vita, abbastanza per fidarmi
della sua discrezione sulla mia incursione nell'East Side. Quando mi
avvicino al bancone lo riconosco subito: Il lungo pizzetto bianco
ancora al suo posto, qualche ruga in più sul viso tondo,
forse, ma lo sguardo ancora vigile e penetrante come un tempo.
Immutato e immobile alla sua postazione da chissà quanti anni,
come un soldato troppo diligente durante il turno di guardia. Uno dei
pochi veri monumenti dell'East Side.
- Ni hao, mio vecchio amico, ti porgo i miei saluti –
Tai-chi era sempre stato uno all'antica, e quella certa formalità
lo rassicurava e gli garantiva un certo alone da persona rispettabile
e saggia. Sulla saggezza niente da obiettare ma quanto alla
rispettabilità, bè, bisognerebbe chiedere a quel russo
rompicoglioni che il vecchio Tai fece a pezzi, anni fa. Un pezzo alla
volta, con meticolosità e perizia, curandosi di fermare ogni
volta l'emorragia: per far sì che il divertimento non finisse
troppo presto.
Quando mi vede per poco non mi riconosce.
- Oh, chi si vede da queste parti! Harry “Ol' James” Scott in
persona che mi onora della sua compagnia. Non sei affatto
invecchiato in questi anni -
- Vorrei che fosse la verità, Tai-chi, ma non siamo tutti
fortunati come te. In ogni caso l'onore è solo mio, ma
dimmi... fai ancora i noodles più buoni di tutto l'East Side?
-
Non risponde ma sorride, mostrando la sua dentatura perfetta
nonostante l'età avanzata, e si mette subito al lavoro sui
fornelli. Perché alla sua età e con la sua posizione
all'interno della mafia cinese ancora si affatichi tagliando e
friggendo verdure e frutti di mare resta un mistero. Dopo pochi
attimi mi porge con delicatezza un cartoccio caldo che emana un
profumo delizioso, poi si ferma a guardarmi dritto negli occhi.
- Ma tutti e due sappiamo che non sei qui per i miei spaghetti. O mi
sbaglio, forse? -
- Non sbagli. E qualcosa mi dice che già conosci il motivo che
mi ha riportato quaggiù, dopo tanto tempo -
Lo sguardo di Tai-chi si oscura leggermente mentre il sorriso
svanisce dal suo volto. Capisco che non riprenderà il discorso
se non sarò io a introdurlo per primo, forse spera di
sbagliare o semplicemente teme di offendermi in qualche modo. Respiro
profondamente.
- Voglio sapere di Junior, Tai-chi -
Il vecchio cinese sospira, poi inizia a parlare come se un peso
insostenibile lo schiacciasse in fondo al cuore.
- A dirti la verità, Scott, sono preoccupato. Il ragazzo sta
pestando i piedi sbagliati, non mostra rispetto per nessuno, di
questo passo... -
- COSA fa esattamente? -
- Droga. Ha creato un giro nel quartiere negli ultimi mesi, spaccia
una sostanza nuova, mai sentita prima. La chiamano Cobalto -
- Droga – mi fermo a riflettere.
Le voci che mi erano arrivate erano vere, allora. La mano corre
nell'impermeabile a toccare il tubetto azzurro che avevo raccolto
poco prima. Rischio di perdermi nei miei cupi pensieri ma so che
Tai-chi non ha ancora finito.
- Il problema, Scott, non è la droga, lo sai. Qui nell'East
Side nasce un nuovo giro ogni giorno, spacciatori vengono fatti
fuori e il giorno dopo rimpiazzati come se nulla fosse. Ma ci sono
sempre state delle regole. Regole dinanzi cui tutti, i più
grandi come i più piccoli, si sono dovuti piegare. Tu lo sai
bene: territori, limiti, tangenti da pagare. Tuo figlio se ne fotte,
Scott. I miei ragazzi hanno beccato i suoi che smerciavano roba
fuori dalle scuole medie: ci vanno i nostri bambini lì.
Shin-Lang non aspetta altro che spezzargli le gambe, non appena lo
avrà sotto mano... io, per rispetto a te, tento di tenerli a
bada ma è sempre più difficile -
Abbasso lo sguardo mentre, scuro in viso, rispondo a Tai-chi.
- Ti ringrazio, ma non posso chiederti tanto. Il ragazzo sta pisciando
fuori dal vaso e lo si deve raddrizzare prima che qualcuno si faccia
male. Ho bisogno di scambiarci due parole... ma immagino sia
irreperebile -
- Posso metterti in contatto con Shin-Lang, sta seguendo da vicino il
giro di tuo figlio, potrebbe indicarti alcuni suoi spacciatori. E'
una pista esile ma... -
Quando poco dopo esco dal locale e mi incammino verso casa ho la
testa talmente piena di pensieri che la sento martellare senza sosta
dall'interno. Tiro fuori le Marlboro e me ne accendo una mentre
guardo in faccia la notte che ormai è sopraggiunta. Il vento
freddo mi taglia la faccia senza pietà. Infilo i guanti e
premo i pugni in fondo alle tasche.
Cristo
santo, Junior. Che cazzo stai combinando?
Il primo che mi fa notare che la pagoda in foto non è indaco vince in premio la fantastica possibilità di cercare su "google immagini" una AUTENTICA pagoda indaco da inserire. Che culo, eh?
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