La notte è fredda come non mai mentre cammino nelle vie scarsamente illuminate del quartiere. La mente corre ad Aileen: so che stavolta non capirà, non me la farà passare liscia. Ogni respiro fa arrivare al cuore fitte di vetro congelato, il vento sferza i muri e le saracinesche dei negozi chiusi lungo la tredicesima. Ho lasciato la macchina a due isolati dal magazzino per garantirmi un po' di discrezione e avere il tempo di riflettere. L'ultima volta che ho incontrato Shin-Lang era un adolescente brufoloso e con un pessimo carattere; adesso dicono sia uno dei pezzi più grossi della mafia cinese sulla costa orientale. Mi stupisce la rapidità con cui cambiano i vertici delle organizzazioni criminali negli ultimi anni: ai miei tempi non era così. Nascevi e morivi e le cose attorno a te sembrava quasi non mutassero, avevi certezze, pilastri a cui aggrapparti quando tutto sembrava crollare. Non posso fare a meno di pensare che questo continuo far “saltare teste” tipico di quest'ultima generazione renda il mondo ancora più folle, violento e senza senso di quanto sia mai stato. Ammesso che tutto ciò un senso l'abbia mai avuto.
A guardarlo da fuori appare come un edificio fatiscente, un magazzino abbandonato, chiuso da anni. Le pareti con l'intonaco crepato, vari strati di graffiti sui muri, senza soluzione di continuità. Lo stesso portone arrugginito da l'impressione di poter essere sfondato con un paio di pedate ben assestate. E in effetti sarebbe anche così, se non fosse che ad attendere subito dietro ci sono almeno mezza dozzina di mitra pronti a crivellare l'incauto visitatore. Non che siano mai capitati simili spiacevoli episodi: i cinesi sono sempre stati discreti e puliti nel loro lavoro, e nessuno è mai stato così pazzo da andare a “citofonare” al magazzino sulla tredicesima senza essere stato invitato.
Quando mi avvicino al portone prontamente si apre uno spioncino da cui cominciano a fissarmi sospettosi due occhi a mandorla.
- Sono solo un vecchio amico -
Fortunatamente il mio arrivo è già stato annunciato perchè in pochi secondi il portone viene leggermente aperto e vengo fatto penetrare all'interno del più importante covo della mafia cinese di tutta la Città. Sono sorpreso perchè non vengo nemmeno perquisito, un atto di cortesia d'altri tempi. Devi ancora godere di un certo rispetto almeno fra questa gente, vecchio. L'interno dell'edificio è stato recentemente ristrutturato, niente di particolarmente appariscente ma quantomeno non da l'impressione di dover crollare da un momento all'altro come la facciata esterna. In ogni caso niente dragoni cinesi dipinti o lampade di carta rossa: la tradizione è morta da tempo. Vedo una sala comune: intorno ai tavoli è pieno di china-boys che scarrellano semiautomatiche, tirano botte di coca e contano dollari imbrattati. Odore di casa. Tento di muovermi con naturalezza, senza destare troppo l'attenzione dei presenti, ma mi rendo conto che in molti si accorgono della mia presenza anomala. Qualcuno mi riconosce pure, temo. Cazzo. Tempo domani mattina tutto l'East Side saprà che sono stato qui. Ignoro tutti e mi dirigo a passo svelto verso il piano superiore, dove in una sorta di ufficio mi attende Shin-Lang, intento a fumare crack e a guardare fuori dalla finestra.
- ... e così entro un paio di giorni tutti sapranno che Ol' James è tornato e si è messo a lavorare coi cinesi. Un bel colpo, eh? - esordisco.
Lui si volta e mi guarda con lo sguardo stralunato del fumato, ma so benissimo che sotto quella patina il ragazzo è fin troppo lucido. Si aggiusta i lunghi capelli neri sciolti e si gratta distrattamente la barba scura, che lo fa sembrare molto più vecchio di quanto sia in realtà. Necessità estetiche di un boss troppo giovane.
- Fino a prova contraria sei stato tu a bussare alla mia porta, “Ol' James” - sottolinea sarcastico – io sto solo facendo un favore al mio povero vecchio zio -
- Suvvia, Shin, lo sappiamo entrambi che hai smesso da tempo di prendere ordini da Tai-Chi. Se sono qui è solo perchè la mia presenza ti fa comodo, per una questione politica, d'immagine. Oltretutto ho anche intenzione di occuparmi gratuitamente di una faccenda scomoda. Un vero affare per te -
Poggia le mani sulla scrivania e mi fissa con durezza.
- Ti stai forse tirando indietro, Scott? -
Mi guarda e leggo la minaccia nei suoi occhi. E' abituato a trattare così con la gente, sottoposti e rivali. Ma io sono troppo vecchio e stronzo, troppo navigato, per farmi intimidire da un ragazzino: sostengo lo sguardo e lo provoco.
- Secondo te? -
Il cinese ci pensa su per un attimo, poi cambia registro e torna conciliante.
- No, certo che no. Tu non sei come la feccia là fuori. Perdona l'irruenza ma... ultimamente ho troppi cazzi per la testa -
La tensione scema e io mi accendo una sigaretta prima di riprendere a parlare.
- Nessun problema, boss, ma adesso veniamo a noi. Sono stato al tuo gioco e sono venuto fin qui, pur sapendo che la voce si spargerà, che anche i fottuti russi lo sapranno, e che per me saranno cazzi nel giro di pochi giorni. Cosa hai per me? -
- Louis Renton, è uno dei “distributori” di tuo figlio. I piccoli spacciatori si riforniscono da lui, poi si dividono il territorio e ricoprono l'East Side di roba. E' l'uomo più vicino alla “fonte” che siamo riusciti a trovare e non è stato facile: cambiano punto d'incontro ogni settimana e dobbiamo ancora capire come riescono a passarsi le informazioni... tutto questo per dirti che potresti avere solo questa possibilità, per parecchio tempo -
- Non avrò bisogno di una seconda -
- Bene. Tra l'una e un quarto e le due, vicino alle cassette della posta, proprio davanti al Mercato generale -
Mancano tre quarti d'ora, è meglio che mi sbrighi anche perchè non credo che Shin-Lang abbia molto altro da dirmi. Gli tendo la mano per congedarmi ma lui mi ferma.
- Aspetta: immagino tu abbia bisogno di un'arma e di qualche uomo -
Sorrido mostrando il mio solito ghigno mangiamerda.
- Lavoro meglio da solo, boss, grazie. Quanto al resto... ho questa – scosto leggermente il trench e lascio intravedere la fondina legata sul costato.
- Un revolver? Cazzo, non ne vedevo uno da 15 anni. Anche il più coglione gira almeno con una semiautomatica al giorno d'oggi. Lascia che ti procuri qualcosa di serio -
Ah. I soliti giovani d'oggi: praticoni, abituati alla pappa pronta. Abituati a svuotare caricatori interi e a mettere a segno due o tre colpi. Con un revolver hai sei fottuti proiettili e li devi far fruttare, ne dipende la tua sorte. Non puoi permetterti di calare in concentrazione. Inoltre un revolver con una buona manutenzione NON si inceppa. Mai. E' uno dei pochi compagni che non ti abbandona sul campo. E poi...
- Questo non è “un” revolver, ragazzo. E' una Colt Python del '79, canna da sei pollici, calibro .357 Magnum. Fora la lamiera di qualsiasi automobile e apre buchi di 10 cm di diametro nel petto di un uomo. Sottovalutarla è un errore che la gente non ripete due volte -
E così dicendo esco dalla stanza, mentre lo sento bisbigliare alle mie spalle qualcosa come “vecchio pazzo, si farà ammazzare”. Incasso il complimento e me ne fotto, mentre esco dal magazzino. Questo vecchio pazzo ha del lavoro da fare.
Arrivo al piazzale con dieci minuti d'anticipo così ho appena il tempo di studiare i dintorni. Fortunatamente conosco bene la zona: prima che il Mercato venisse rimesso in uso lo utilizzavamo come scalo per i nostri traffici di alcol e armi. E' un bene che l'appuntamento non sia all'interno dell'edificio perchè penetrarvi sarebbe stato pressoché impossibile, senza qualcuno a pararmi il culo. Meno positivo è il fatto che sicuramente avranno appostato un cecchino al secondo piano o sul tetto: le cassette della posta sono un bersaglio perfetto e sono anche fin troppo vicine. Una volta finite le trattative devo trovare un modo di attirarlo rasente al muro, al riparo. Ma poi, dopo averlo preso, che fare? Usarlo come ostaggio sarebbe una stronzata: con ogni probabilità i cecchini hanno l'ordine di far fuori lui e chiunque rompa le palle, in caso di problemi.
Nascosto da un vicolo laterale ad un centinaio di metri dalle cassette, comincio ad osservare il Mercato cercando di stanare la posizione di eventuali cazzoni appostati dietro le finestre. Quando si avvicina l'ora X vedo una saracinesca al secondo piano che si solleva impercettibilmente, proprio sopra le cassette della posta: perfetto. Mentre le prime figure cominciano ad assieparsi vicino al luogo dell'appuntamento io inizio a muovermi, facendo un largo giro del piazzale e sfruttando ombre e punti morti del cecchino, per arrivare in una zona da dove osservare bene la situazione. Dopo cinque minuti di manovre riesco a piazzarmi dietro l'angolo dello stesso Mercato, ad una ventina di metri dallo spaccio, e prego con tutte le mie forze di non essermi fatto notare lungo il tragitto. Se così fosse, sono fottuto. Adesso non mi resta che aspettare che lo smercio finisca e sperare di aver indovinato il lato giusto dell'edificio. Se infatti Renton una volta finito si dirige dall'altro lato le possibilità di raggiungerlo sono minime. Ma dall'altro lato c'è la quarantasettesima, una strada trafficata, l'accesso più visibile al piazzale. In tanti anni di contrabbando non ho mai usato quel lato per “sparire” a lavoro terminato, perciò mi fido del mio istinto.
Passano altri cinque minuti, mentre io regolarmente sbircio da dietro l'angolo. Non dovrebbero avermi notato perchè lo scambio avviene regolarmente: Renton è quello con lo zuccotto di lana blu, ha due grosse borse da palestra da cui estrae quelle che sembrano scatole da scarpe e ne consegna una ad ognuno. Gli spacciatori sono giovani, quasi tutti teenager: gli passano dei mazzetti di dollari che lui mette via senza neanche contare. Quegli stronzetti devono aver talmente paura da non rischiare di fare i furbi.
Quando lo scambio termina, i ragazzi si allontanano in direzioni diverse: chi attraverso la piazza, chi per la quarantasettesima. Nessuno viene verso di me. Azzardo un'ultima occhiata e vedo Renton che si muove a passo deciso verso la mia posizione (Bingo!), pur rimanendo ben distante dal muro, sotto il tiro del cecchino. Sembra magrolino, sotto il giaccone invernale. Buona cosa. Ma se gli sparo su una gamba adesso, il nostro amico lassù lo finisce prima che io possa anche solo avvicinarmi. Niente da fare, devo sfruttare l'unico punto morto disponibile: l'esile albero sul marciapiede, a pochi passi dall'angolo dietro cui sono nascosto. Chiamarlo punto morto è prendersi per il culo, la copertura è ridicola... ma sempre meglio di niente. Confido nel fatto che mio figlio non paghi sicari professionisti armati di mirino laser per un semplice smistamento di droga. Attendo il momento giusto e perfeziono il piano. Un primo colpo lontano, in direzione della cassetta della posta, per creare confusione. Il secondo dritto al ginocchio di Renton. Poi trascinare il cazzone al riparo dal fuoco: ho la macchina a pochi metri nella via laterale, se ho culo riesco a caricarlo e a filarmela prima di ritrovarmi gli scagnozzi di Junior incollati alle chiappe. Mh. Bel piano di merda.
Precisione e rapidità di esecuzione. Ecco quello che ci vuole. Estraggo la Python e prendo la mira. Renton supera l'albero e entra nella zona d'ombra. Tiro il cane e mi preparo a far fuoco.
Poi, dal nulla, mi arriva un colpo potente alla nuca.
E il mondo si rovescia.
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