East Side, Market Square
Guardati lì, a terra, a
mangiare la polvere. Debole, piccolo, inutile. Così coglione
da startene appostato per dieci minuti e non esserti controllato le
spalle nemmeno una volta. E adesso? Pensi di rimanertene lì
ancora per molto o pensi di alzarti? Forza, Jamie, dimostra che hai
ancora le palle, lì sotto. Sii uomo.
Sì,
papà, certo. Annaspo sul marciapiede per qualche secondo prima
di riuscire ad issarmi su: sembra che le ginocchia stiano per cedere
da un momento all'altro ma resto in piedi. Intanto tutto continua a
vorticare freneticamente intorno a me, mentre tento di capire che
cazzo è successo. Ok, classico calcio di pistola in testa,
perfetto. Adesso devo solo aspettare che il mondo smetta di girare e
mi permetta di puntare la Colt contro lo stronzo che mi ha ridotto
così. Certo. Che ci vorrà mai. Tento di voltarmi verso
la direzione da cui mi sembra arrivata l'aggressione ma faccio appena
in tempo a distinguere una sagoma fra le lucine e le ombre che ancora
mi annebbiano la vista, che subito mi arriva un pugno allo stomaco.
Mi piego in due ma non mi accascio: ci vuole ben altro, cazzo. Il
problema è che la mano che impugna la pistola non ne vuole
sapere di alzarsi e puntare: l'intero braccio mi penzola inerte al
fianco, senza forza. Mi appoggio con la spalla al muro e vomito un
misto di succhi gastrici e pizza. Commozione cerebrale, proprio
quello che ci voleva.
Cristo
come sei ridotto, figliolo. Lo dovevi sapere che sei troppo vecchio
per queste stronzate: a una certa età bisogna avere la decenza
di ritirarsi, come ogni fottuta star del baseball. Tu invece vuoi
fare l'eroe? Eccoti servito.
Grazie
per l'incoraggiamento nel momento del bisogno, pà. Mi serviva
proprio. Dopo pochi altri secondi, la nube attorno a me comincia a
diradarsi abbastanza da smettere di sentire la voce di mio padre e da
capire chi ho di fronte. Quello che vedo non mi tranquillizza nemmeno
un po'.
- Tu, pezzo di merda. Ora viene a
fare giro con noi. Posa cannone prima che ti spiezzo il braccio –
parla quello alla sinistra. Sarà alto due metri, indossa un
completo scuro sotto cui è facile intravedere i suoi
centocinquanta chili di muscoli d'acciaio.
- No scherzi: lascia a terra
pistola. Non te lo chiederò ancuora – mi incalza l'uomo
sulla destra che mi tiene puntata addosso una Glock. Questo è
lievemente più basso di me, ma probabilmente ha un braccio
più largo di una mia coscia.
Noto in entrambi un forte accento
russo... e questo non è un bene. Capisco che non posso fare il
furbo con loro, non quando ho ancora le gambe che tremano e la testa
che gira come dopo una sbronza colossale. Questa è gente che
non scherza, non ha mai scherzato. Ve lo dice uno che lo sa.
Faccio per posare il revolver a
terra, delicatamente, quando sento una finestra che si spalanca
proprio sopra le nostre teste. Gli amici di mio figlio hanno deciso
di partecipare alla festa. Il russo colossale e palestrato solleva un
Uzi verso la finestra e lascia partire una raffica: la buona notizia
quindi è che non c'è un accordo fra i due. La brutta
notizia è che questi stronzi sono armati pesantemente. Capisco
subito che non avrò un'altra occasione per darmela a gambe e
che devo sfruttare questa distrazione: scarto di lato e mi riparo
dietro un cestino dell'immondizia sul marciapiede. Me la cavo con un
proiettile nella spalla, una ferita superficiale, spero. So che non
posso restare dietro il cestino: appena il gigante punta la potenza
di fuoco del suo mitra verso di me sono fottuto. Spero solo che
abbiano ricevuto l'ordine di prendermi vivo... ma temo che questo lo
saprò comunque troppo tardi. Devo trovare una soluzione e alla
svelta.
Nel frattempo il simpaticone al
secondo piano ha preso a sparare in strada e dal rumore sembra avere
un bel fucile automatico con sé. La serata si fa sempre più
piacevole. Esplodo un paio di colpi mentre rotolo lontano dal
secchio, cercando di raggiungere l'angolo dell'edificio per
nascondermi. Sento fischiare i proiettili intorno ma stavolta resto
illeso. Mi volto e vedo Renton, rannicchiato dietro un'utilitaria,
che non ci sta capendo un cazzo. Appena incrocia il mio sguardo se la
dà a gambe: fanculo, ho altro a cui pensare adesso. Sento i
russi che si scambiano qualche amichevole effusione col tizio al
piano di sopra finché il suo fucile non tace. Le possibilità
che si siano fatti fuori a vicenda sono remote così comincio
ad indietreggiare tenendo sempre il revolver puntato verso l'angolo
dietro cui mi sono nascosto. Nel giro di due secondi spuntano i due
russi, lanciati all'inseguimento. Faccio fuoco e colpisco il primo al
petto mentre l'altro schizza di lato e comincia a spararmi. Mi riparo
dietro un paio di auto e cerco di ragionare. Fuggire a piedi non se
ne parla: se ho fortuna avranno la metà dei miei anni, sono
allenati mentre io ho fatto a malapena cinquanta metri e ho già
il fiatone. Mettiamoci in più che ho un buco in una spalla e
di sangue ne sta uscendo in abbondanza. Un altro cazzo di trench da
buttare. Mi comprimo la ferita con un fazzoletto di cotone mentre
vedo che il russo che ho colpito si alza da terra e avanza verso di
me. Dannato kevlar! La mia auto è esattamente alle spalle dei
due stronzi, l'unica cosa che posso tentare è farmi tutto il
perimetro dell'edificio e sperare che i due siano abbastanza coglioni
da seguirmi senza dividersi e chiudermi a tenaglia.
Comincio
a correre a perdifiato mentre sento i due dietro che mi incalzano, mi
volto ogni tanto per sparare, per rallentarli, ma è
impossibile colpirli senza mirare. Il cuore mi martella nelle
orecchie come i bassi di un concerto death metal mentre arranco
cercando di sfruttare ogni muretto, ogni minimo riparo per coprirmi
le spalle. I proiettili si conficcano nel marciapiede subito dietro
di me: mirano alle gambe, adesso. Credo. Quelle gambe che sento più
pesanti ad ogni passo. Quelle gambe che non posso permettere di
riposare. Maledico questi ultimi cinque anni di vita sedentaria,
maledico ogni fottuta ala di pollo fritta e ogni birra in lattina
scolata nei pigri sabato pomeriggio. Ma non posso mollare. Volto
dietro l'ennesimo angolo: ne manca ancora uno poi mi troverò
dal lato giusto. Dove mi aspetta l'unica possibilità di
salvezza. Mi rendo conto che non so più se ho un ultimo colpo
in canna o meno. Il tempo passa, la buona abitudine di tenere il
conto mentale dei colpi esplosi si perde, come i ricordi di una vita
che si tenta di dimenticare. Dannato vecchio coglione. I
russi sono sempre più vicini, i loro colpi più
pericolosi.
Vedo l'ultimo angolo in
lontananza ma il fiato è finito. Mi riparo dietro un
cassonetto e tossisco l'anima mentre sento gli stronzi che si
avvicinano cauti. Mentre sputo catarro mi sento come se anche i
bronchi volessero affacciarsi dalla mia bocca per annusare la notte.
Tossisco ancora e la manica del trench mi si sporca di sangue. E' per
la ferita, mi dico. Certo. Per la ferita alla spalla.
Percepisco che si trovano
esattamente dietro il cassonetto e che se rimango lì ancora un
secondo tanto vale alzare le mani e consegnarmi. Ma non è
ancora arrivato quel giorno. Sferro la spallata più potente
che riesco a mettere insieme al cassonetto, che si sposta e travolge
chiunque vi si trovasse dietro. Non perdo altro tempo e mi fiondo
arrancando verso l'ultimo angolo.
Quando mi volto mi rendo conto
che a seguirmi è rimasto solo uno dei due, quello basso, non
voglio sapere che fine abbia fatto l'altro. Mi lancio verso la mia
Cadillac gialla riparandomi dietro un altro paio di auto parcheggiate
mentre i colpi mi sibilano attorno. Apro la portiera ma mentre faccio
per entrare il russo mi centra un polpaccio. Istintivamente mi giro e
faccio fuoco dritto verso la sua faccia. Bang. L'ultimo colpo. Culo.
Erano anni che non uccidevo
un uomo. Non sono cose che ho mai fatto a cuor leggero, ma quando mi
insegui sparando per tre isolati tendo a diventare estremamente
suscettibile. Bastano pochi secondi per rendermi conto che la mia
fortuna si esaurisce lì: la macchina non parte, ovviamente,
sabotata. I russi devono avermi seguito da parecchio, dal magazzino
dei cinesi o forse addirittura da quando sono entrato nell'East Side.
E io sono così arrugginito che nemmeno me ne sono accorto.
Hanno avuto tutto il tempo di manomettere la vettura mentre io
giocavo a fare l'investigatore con gli spacciatori di Junior.
E
così ti hanno fottuto, Jamie.
Sta zitto, papà. Cazzo.
- Ora vieni fuori, struonzo, mani
bene in vista! -
E' arrivato l'altro russo, alto
due metri, che mi punta contro il suo bel mitra. Possibilità
di uscire vivo da uno scontro corpo a corpo: zero. Scendo lentamente
dalla macchina per evitare di innervosirlo ulteriormente e dargli la
scusa di farmi fuori. Gli ho appena steso il collega, vedo che freme
di rabbia e che non chiede altro che un mio passo falso. Ma è
un professionista e non cede: controlla se ho altre armi addosso, mi
ammanetta i polsi. E io ancora respiro a fatica. Poi mi conduce verso
un piccolo furgone metallizzato, parcheggiato poco vicino. Mi fa
salire sul retro, mi fa voltare. Poi arriva l'ennesimo colpo alla
testa, preciso, e tutto comincia a farsi scuro mentre cado in
ginocchio.
La mia coscienza sta per scivolare nel nero
più nero ma cerco di resistere e di pensare. Qualcuno mi ha
fottuto. Qualcuno ha parlato e ha fatto nome, posto e ora. Penso agli
sguardi dei china-boys, a quelli che mi hanno riconosciuto. No, non
possono aver fatto in tempo. Ero lì nemmeno un'ora fa, nessuno
ha contatti così rapidi. L'unico a sapere da prima chi ero e
dove sarei andato... era Shin-Lang. Perché mi ha mandato lui
qua, in questa fottuta trappola. La vera domanda è “perché”?
Indugio ancora qualche secondo
poi crollo. L'ultima cosa che ricordo è il sapore di frutta
marcia dei cartoni stesi a coprire il fondo del furgone e l'odore del
mio sangue che scivola lento via da me.
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