sabato 8 settembre 2012

Il suo nome è Aileen


The Green, quartiere residenziale, caseggiato numero 7

        Indosso questo modello di trench da trentanni. Color beige scuro, tre quarti, cinta larga con fibbia di metallo, bavero alzato a coprire il collo. Un must. Ne ho cambiati una montagna: usura, strappi, fori di proiettile, macchie di sangue. Qualcuno l'ho perso durante qualche “operazione” andata storta. Ma ogni volta mi trovo a ricomprarne uno: non so nemmeno io se si tratta di un rito, un modo per esorcizzare il tempo che passa, oppure semplicemente è gusto personale. Che poi col freddo di quella sera sarebbe stata molto più adatta una giacca a vento. Ma che ci volete fare? Ognuno ha le sue fissazioni, che amiamo giustificare contro ogni condizione climatica avversa. E poi, dopotutto, avevo altro a cui pensare.
         Il Green è il quartiere in cui vivevo, una zona residenziale abbastanza lontana sia dalla fogna dell'East Side sia dal frastuono yuppie dell'Upper Side. Prende il suo nome dall'enorme parco che si trova al suo centro, meta di tutti i cittadini desiderosi di una boccata d'aria pulita, in attesa di rituffarsi nei fumi cancerogeni del traffico metropolitano. Attorno al parco, curato e sorvegliato durante tutto l'anno, sorgono villette di varia foggia, roba per ricchi che campano di rendita, dirigenti d'azienda pensionati e avanzi di galera coi soldi come il sottoscritto. Avevo deciso in ogni caso di mantenere un profilo non esagerato, per non dare troppo nell'occhio ed evitare domande scomode. In realtà non avevo neppure tutti quei soldi che si diceva in giro io avessi. Diciamo abbastanza grana da non dover lavorare più: ma alla mia età e col numero di pallottole prese in carriera, si trattava né più né meno di un'onesta pensione. Il difficile era arrivare a godersela questa pensione.
        Prima di imboccare la strada di casa mi fermo al bar a comprare la mia morte in pacchetti da venti.
       - Due pacchetti di Marlboro rosse, morbide -
       - Il solito eh, mister? -
Bill, il tabaccaio sudaticcio e dai capelli unti, tenta di fare conversazione. Non sa che non me ne può fottere di meno delle sue chiacchiere in questo momento. Accenno un mezzo ghigno, gli lascio i soldi ed esco. Alzo gli occhi al cielo notturno, terso nonostante la stagione invernale, mi rialzo il bavero e mi accendo una sigaretta. Dopo due boccate mi sale su una brutta tosse secca che mi raschia la gola come un rasoio scheggiato. Sputo catarro punteggiato di nero e riprendo a camminare. Provateci anche voi a fumare due pacchetti al giorno per cinquantanni, poi ne riparliamo. Non che non mi preoccupasse quella tosse: nell'ultimo mese non faceva che peggiorare, mi ritrovavo ad ansimare anche dopo una semplice passeggiata. Ma da lì a prendere un appuntamento dal medico, ci passava. Da lì a smettere col fumo, figuriamoci. E' una faccenda di stile: guardatemi adesso, col mio trench e la mia sigaretta in bocca. Un gran figo nonostante la mia età. E poi, diciamoci la verità, non potrei smettere nemmeno se volessi. Credete a me: le industrie del tabacco balleranno sulle nostre ceneri, dopo l'Armageddon.
        Dopo pochi minuti arrivo alla mia villetta, lievemente in disparte rispetto alle altre: una casetta in muratura bianca, muretto di mattoni e cancello in legno. Percorro il vialetto di selciato attraverso il modesto giardino, pochi scalini e arrivo alla veranda. Poi, la porta dipinta color magenta. Dietro la porta, Lei. Il vero motivo per cui qualsiasi uomo, la sera, non desidererebbe altro che tornare a casa.
        Il suo nome è Aileen. La sua pelle è cioccolato fine, il suo profumo quello delle erbe caraibiche più aromatiche e i suoi occhi, verdi come il mare della sua terra. Mi guarda, sorride, e non dice niente. Mi viene incontro e mi abbraccia e di colpo la stanchezza di tutta la giornata, i pensieri neri e le preoccupazioni delle ultime ore, vengono spazzati via come non fossero mai esistiti. Mi abbandono al contatto col suo seno caldo e ispiro a pieni polmoni l'odore dei suoi capelli. Capelli neri come il profondo della foresta più remota. Per un attimo penso che potrei rimanere lì per sempre, in piedi sulla porta di casa, dimenticare tutto e vivere solo di questo. Poi mi ricordo di Junior, di Tai-Chi e della droga. E il sorriso scompare.
        Durante la serata non parlo molto, non che di solito io sia un abile oratore. Tiro qualche maledizione contro le notizie del telegiornale mentre mangiamo pizza, fumo cinque o sei sigarette e a fine pasto mi bevo le mie solite tre dita di scotch invecchiato quindici anni. Dentro di me si sta abbattendo una tempesta ma cerco di non darlo a vedere. Peccato che la ragazza mi conosca troppo bene per non notarlo.
        Incontrai Aileen per la prima volta ventanni prima, quando lei era poco più di una ragazzina sola in una terra sconosciuta e lontana da casa. Lo Zio Sam l'aveva accolta come solo lui sapeva fare: un lavoro da puttana nel giro della prostituzione ispanico, tre o quattro case chiuse nell'East Side e qualche mignotta per strada. Per lei, figlia di due immigrati cubani scomparsi in qualche retata della polizia, non c'erano altre possibilità. Ma già da allora si poteva intuire che non era come tutte le altre. Una bellezza mozzafiato, una mente pratica e fegato da vendere: non restò a battere per molto. Riuscì a ingraziarsi Alejandro, il boss degli ispanici, che in cambio “dell'esclusiva” la mise a gestire uno dei suoi bordelli. In quegli anni io mi occupavo di rifornire d'alcolici di contrabbando tutto l'East Side e ricordo bene di aver fatto qualche affare anche con lei. Mi colpì subito per la giovane età e l'abilità con cui gestiva la casa, i conti e la sicurezza delle “sue ragazze”, in gran parte più grandi di lei. C'era chi diceva che una volta avesse sorpreso un coglione a picchiarne una nelle sue stanze: bè, pare che il tipo si ritrovò sbattuto fuori dal locale con in mano un bicchierino di carta. Con dentro le proprie palle. Che dire? Una selvaggia bomba sexy con un cuore da tagliagole: ne conoscevo di donne e lei era forse la più interessante che avessi mai incontrato. Già allora ci feci un pensierino... ma cosa pretendete? Ero sposato e con un bambino piccolo. Lasciai correre.
        Ne è passata d'acqua sotto i ponti da allora: lei non è più una ragazzina, io non sono più un contrabbandiere in piena carriera. Siamo in cucina e abbiamo finito di mangiare. Lei è seduta davanti a me e mi fissa da cinque minuti mentre io fingo di concentrarmi a leggere il giornale. Poi lei attacca.
       - Mi vuoi dire cos'hai? -
Capisco subito che è inutile resistere, non ne ho la forza. E in ogni caso gliene avrei dovuto parlare, prima o poi. Tanto vale. 
       - Ho fatto un salto nell'East Side. Sai, quelle voci su Junior... erano vere. Più tardi ho un appuntamento con della gente che può aiutarmi a trovarlo, voglio parlarci -
Mi guarda per qualche secondo cercando di dominarsi. Poi esplode. Non l'ha presa bene.
       - Tu devi essere fuori di testa, Harry. Ci abbiamo messo una vita a venir fuori da quella merda e adesso tu ti ci ributti dentro alla prima occasione? Cosa cazzo sei uno di quei vecchietti che non riescono ad accettare di essere andati in pensione e devono fare i giovani a tutti i costi? -
       - Grazie per la frecciata, tesoro, ti amo anch'io. Ti assicuro che non lo faccio perchè sono un fottuto drogato di adrenalina. Lo faccio per Jun... -
        - Junior, certo! Buona questa. Te ne sei sempre fregato di tuo figlio e adesso improvvisamente scopri di avere un senso di paternità! -
E' bellissima quando si arrabbia, lo è sempre. Quasi perdo la concentrazione mentre noto il movimento dei suoi capezzoli sotto la t-shirt attillata: non porta il reggiseno.
       - Non ho mai avuto un gran rapporto con lui, è vero. Ma mi sono sempre preoccupato che non gli mancasse niente. Gli ho fatto anche avere un assegno da 90.000 dollari per le spese del college -
       - La verità, Harry, è che non vi siete mai sopportati, e non saranno i tuoi soldi del cazzo a cambiare le cose. L'hai sempre tenuto lontano da te perchè ti ricordava Dora! -
Grida le sue parole come fossero schiaffi. Mi ferisce. Mi ferisce nella parte più delicata dei miei ricordi. Mi ferisce perchè so che sta dicendo la verità. Per un attimo, forse per la stanchezza o per l'alcol, ho un impulso violento di prenderla per i capelli e fargliela pagare. Lei deve notare qualcosa dietro il mio sguardo perchè arretra leggermente sulla sedia. Io mi vergogno come un ladro e abbasso lo sguardo. Non potrei mai farti del male, amore mio, mai. Non lo dico ma qualcosa si incrina dentro di me mentre chino il capo quasi a sfiorare il tavolino. Poi sento la sua mano che mi accarezza dolcemente i capelli. 
       - Va tutto bene, amore, tutto bene. Io... ti perdono -
Dio solo sa che ogni uomo ha un bisogno disperato di qualcuno che lo perdoni. Chiunque abbia vissuto una vita come la mia, una vita in cui così spesso la violenza toglie un senso ad ogni cosa, ha bisogno di un riparo, un porto sicuro dove far riposare le proprie membra stanche. C'è chi crede in qualcosa di superiore, chi ha la sua divinità fai-da-te. Io ho Aileen. Lei mi assolve dai miei peccati mentre annego tra le sue braccia.
       - Ti prego, tesoro, non tornare laggiù. A loro non interessa “perché” lo fai, penseranno che sei tornato per rientrare nel giro. Finirai per farti ammazzare. E io non potrei sopportarlo -
Alzo gli occhi e incrocio il suo sguardo liquido che sa di spuma e sa di sale. Lei lascia scivolare la mano fino ad accarezzarmi le rughe attorno agli occhi, poi indugia sulla barba ispida e la mascella quadrata.
       - Non andare, Harry. Promettilo -
       - Va bene -
       - Promettimelo -
       - Te lo prometto -
Mi bacia, a lungo e con delicatezza. Un bacio che è giuramento, è fiducia e tradimento, patto suggellato dalle labbra più dolci del mondo. Dopo mi prende per mano e mi conduce in camera da letto. Si sdraia e mi attira sopra di sé. Così facciamo l'amore, lo facciamo come fosse l'ultima notte del mondo. Perché ogni notte può essere davvero l'ultima ed io e lei lo sappiamo bene.
        Una volta finito lei si addormenta, girata verso di me. Il suo viso è salvezza e condanna, veleno e medicina. Io resto a guardarla con venerazione, come si guarderebbe una statua in un museo, mentre sul mio volto si disegna il sorriso amaro di chi sa già come andrà a finire.

Venti minuti dopo sono fuori di casa: lo sguardo duro nella notte, il revolver carico nella fondina, la sigaretta in bocca e addosso il mio trench. Il solito vecchio trench.

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