The Green, quartiere
residenziale, caseggiato numero 7
Indosso questo modello di trench
da trentanni. Color beige scuro, tre quarti, cinta larga con fibbia di
metallo, bavero alzato a coprire il collo. Un must. Ne ho cambiati
una montagna: usura, strappi, fori di proiettile, macchie di sangue.
Qualcuno l'ho perso durante qualche “operazione” andata storta.
Ma ogni volta mi trovo a ricomprarne uno: non so nemmeno io se si
tratta di un rito, un modo per esorcizzare il tempo che passa, oppure
semplicemente è gusto personale. Che poi col freddo di quella
sera sarebbe stata molto più adatta una giacca a vento. Ma che
ci volete fare? Ognuno ha le sue fissazioni, che amiamo giustificare
contro ogni condizione climatica avversa. E poi, dopotutto, avevo
altro a cui pensare.
Il Green è il quartiere in
cui vivevo, una zona residenziale abbastanza lontana sia dalla fogna
dell'East Side sia dal frastuono yuppie dell'Upper Side. Prende il
suo nome dall'enorme parco che si trova al suo centro, meta di tutti
i cittadini desiderosi di una boccata d'aria pulita, in attesa di
rituffarsi nei fumi cancerogeni del traffico metropolitano. Attorno
al parco, curato e sorvegliato durante tutto l'anno, sorgono villette
di varia foggia, roba per ricchi che campano di rendita, dirigenti
d'azienda pensionati e avanzi di galera coi soldi come il
sottoscritto. Avevo deciso in ogni caso di mantenere un profilo non
esagerato, per non dare troppo nell'occhio ed evitare domande
scomode. In realtà non avevo neppure tutti quei soldi che si
diceva in giro io avessi. Diciamo abbastanza grana da non dover
lavorare più: ma alla mia età e col numero di
pallottole prese in carriera, si trattava né più né
meno di un'onesta pensione. Il difficile era arrivare a godersela
questa pensione.
Prima di imboccare la strada di
casa mi fermo al bar a comprare la mia morte in pacchetti da venti.
- Due pacchetti di Marlboro rosse,
morbide -
- Il solito eh, mister? -
Bill, il tabaccaio sudaticcio e
dai capelli unti, tenta di fare conversazione. Non sa che non me ne
può fottere di meno delle sue chiacchiere in questo momento.
Accenno un mezzo ghigno, gli lascio i soldi ed esco. Alzo gli occhi
al cielo notturno, terso nonostante la stagione invernale, mi rialzo
il bavero e mi accendo una sigaretta. Dopo due boccate mi sale su una
brutta tosse secca che mi raschia la gola come un rasoio scheggiato.
Sputo catarro punteggiato di nero e riprendo a camminare. Provateci
anche voi a fumare due pacchetti al giorno per cinquantanni, poi ne
riparliamo. Non che non mi preoccupasse quella tosse: nell'ultimo
mese non faceva che peggiorare, mi ritrovavo ad ansimare anche dopo
una semplice passeggiata. Ma da lì a prendere un appuntamento
dal medico, ci passava. Da lì a smettere col fumo,
figuriamoci. E' una faccenda di stile: guardatemi adesso, col mio
trench e la mia sigaretta in bocca. Un gran figo nonostante la mia
età. E poi, diciamoci la verità, non potrei smettere
nemmeno se volessi. Credete a me: le industrie del tabacco balleranno
sulle nostre ceneri, dopo l'Armageddon.
Dopo pochi minuti arrivo alla mia
villetta, lievemente in disparte rispetto alle altre: una casetta in
muratura bianca, muretto di mattoni e cancello in legno. Percorro il
vialetto di selciato attraverso il modesto giardino, pochi scalini e
arrivo alla veranda. Poi, la porta dipinta color magenta. Dietro la
porta, Lei. Il vero motivo per cui qualsiasi uomo, la sera, non
desidererebbe altro che tornare a casa.
Il suo nome è Aileen. La
sua pelle è cioccolato fine, il suo profumo quello delle erbe
caraibiche più aromatiche e i suoi occhi, verdi come il mare
della sua terra. Mi guarda, sorride, e non dice niente. Mi viene
incontro e mi abbraccia e di colpo la stanchezza di tutta la
giornata, i pensieri neri e le preoccupazioni delle ultime ore,
vengono spazzati via come non fossero mai esistiti. Mi abbandono al
contatto col suo seno caldo e ispiro a pieni polmoni l'odore dei suoi
capelli. Capelli neri come il profondo della foresta più
remota. Per un attimo penso che potrei rimanere lì per sempre,
in piedi sulla porta di casa, dimenticare tutto e vivere solo di
questo. Poi mi ricordo di Junior, di Tai-Chi e della droga. E il
sorriso scompare.
Durante la serata non parlo
molto, non che di solito io sia un abile oratore. Tiro qualche
maledizione contro le notizie del telegiornale mentre mangiamo pizza,
fumo cinque o sei sigarette e a fine pasto mi bevo le mie solite tre
dita di scotch invecchiato quindici anni. Dentro di me si sta
abbattendo una tempesta ma cerco di non darlo a vedere. Peccato che
la ragazza mi conosca troppo bene per non notarlo.
Incontrai Aileen per la prima
volta ventanni prima, quando lei era poco più di una ragazzina
sola in una terra sconosciuta e lontana da casa. Lo Zio Sam l'aveva
accolta come solo lui sapeva fare: un lavoro da puttana nel giro
della prostituzione ispanico, tre o quattro case chiuse nell'East
Side e qualche mignotta per strada. Per lei, figlia di due immigrati
cubani scomparsi in qualche retata della polizia, non c'erano altre
possibilità. Ma già da allora si poteva intuire che non
era come tutte le altre. Una bellezza mozzafiato, una mente pratica e
fegato da vendere: non restò a battere per molto. Riuscì
a ingraziarsi Alejandro, il boss degli ispanici, che in cambio
“dell'esclusiva” la mise a gestire uno dei suoi bordelli. In
quegli anni io mi occupavo di rifornire d'alcolici di contrabbando
tutto l'East Side e ricordo bene di aver fatto qualche affare anche
con lei. Mi colpì subito per la giovane età e l'abilità
con cui gestiva la casa, i conti e la sicurezza delle “sue
ragazze”, in gran parte più grandi di lei. C'era chi diceva
che una volta avesse sorpreso un coglione a picchiarne una nelle sue
stanze: bè, pare che il tipo si ritrovò sbattuto fuori
dal locale con in mano un bicchierino di carta. Con dentro le proprie
palle. Che dire? Una selvaggia bomba sexy con un cuore da tagliagole:
ne conoscevo di donne e lei era forse la più interessante che
avessi mai incontrato. Già allora ci feci un pensierino... ma
cosa pretendete? Ero sposato e con un bambino piccolo. Lasciai
correre.
Ne è passata d'acqua sotto
i ponti da allora: lei non è più una ragazzina, io non
sono più un contrabbandiere in piena carriera. Siamo in cucina
e abbiamo finito di mangiare. Lei è seduta davanti a me e mi
fissa da cinque minuti mentre io fingo di concentrarmi a leggere il
giornale. Poi lei attacca.
- Mi vuoi dire cos'hai? -
Capisco subito che è
inutile resistere, non ne ho la forza. E in ogni caso gliene avrei
dovuto parlare, prima o poi. Tanto vale.
- Ho
fatto un salto nell'East Side. Sai, quelle voci su Junior... erano
vere. Più tardi ho un appuntamento con della gente che può
aiutarmi a trovarlo, voglio parlarci -
Mi guarda per qualche secondo
cercando di dominarsi. Poi esplode. Non l'ha presa bene.
- Tu devi essere fuori di testa,
Harry. Ci abbiamo messo una vita a venir fuori da quella merda e
adesso tu ti ci ributti dentro alla prima occasione? Cosa cazzo sei
uno di quei vecchietti che non riescono ad accettare di essere
andati in pensione e devono fare i giovani a tutti i costi? -
- Grazie per la frecciata, tesoro,
ti amo anch'io. Ti assicuro che non lo faccio perchè sono un
fottuto drogato di adrenalina. Lo faccio per Jun... -
- Junior, certo! Buona questa. Te ne
sei sempre fregato di tuo figlio e adesso improvvisamente scopri di
avere un senso di paternità! -
E' bellissima quando si arrabbia,
lo è sempre. Quasi perdo la concentrazione mentre noto il
movimento dei suoi capezzoli sotto la t-shirt attillata: non porta il
reggiseno.
- Non ho mai avuto un gran rapporto
con lui, è vero. Ma mi sono sempre preoccupato che non gli
mancasse niente. Gli ho fatto anche avere un assegno da 90.000
dollari per le spese del college -
- La verità, Harry, è
che non vi siete mai sopportati, e non saranno i tuoi soldi del
cazzo a cambiare le cose. L'hai sempre tenuto lontano da te perchè
ti ricordava Dora! -
Grida
le sue parole come fossero schiaffi. Mi ferisce. Mi ferisce nella
parte più delicata dei miei ricordi. Mi ferisce perchè
so che sta dicendo la verità. Per un attimo, forse per la
stanchezza o per l'alcol, ho un impulso violento di prenderla per i
capelli e fargliela pagare. Lei deve notare qualcosa dietro il mio
sguardo perchè arretra leggermente sulla sedia. Io mi vergogno
come un ladro e abbasso lo sguardo. Non potrei mai farti
del male, amore mio, mai. Non lo
dico ma qualcosa si incrina dentro di me mentre chino il capo quasi a
sfiorare il tavolino. Poi sento la sua mano che mi accarezza
dolcemente i capelli.
- Va tutto bene, amore, tutto bene.
Io... ti perdono -
Dio solo sa che ogni uomo ha un
bisogno disperato di qualcuno che lo perdoni. Chiunque abbia vissuto
una vita come la mia, una vita in cui così spesso la violenza
toglie un senso ad ogni cosa, ha bisogno di un riparo, un porto
sicuro dove far riposare le proprie membra stanche. C'è chi
crede in qualcosa di superiore, chi ha la sua divinità
fai-da-te. Io ho Aileen. Lei mi assolve dai miei peccati mentre
annego tra le sue braccia.
- Ti prego, tesoro, non tornare
laggiù. A loro non interessa “perché” lo fai,
penseranno che sei tornato per rientrare nel giro. Finirai per farti
ammazzare. E io non potrei sopportarlo -
Alzo gli occhi e incrocio il suo
sguardo liquido che sa di spuma e sa di sale. Lei lascia scivolare la
mano fino ad accarezzarmi le rughe attorno agli occhi, poi indugia
sulla barba ispida e la mascella quadrata.
- Non andare, Harry. Promettilo -
- Va bene -
- Promettimelo -
- Te lo prometto -
Mi bacia, a lungo e con
delicatezza. Un bacio che è giuramento, è fiducia e
tradimento, patto suggellato dalle labbra più dolci del mondo.
Dopo mi prende per mano e mi conduce in camera da letto. Si sdraia e
mi attira sopra di sé. Così facciamo l'amore, lo
facciamo come fosse l'ultima notte del mondo. Perché ogni
notte può essere davvero l'ultima ed io e lei lo sappiamo
bene.
Una volta finito lei si
addormenta, girata verso di me. Il suo viso è salvezza e
condanna, veleno e medicina. Io resto a guardarla con venerazione,
come si guarderebbe una statua in un museo, mentre sul mio volto si
disegna il sorriso amaro di chi sa già come andrà a
finire.
Venti minuti dopo sono fuori di
casa: lo sguardo duro nella notte, il revolver carico nella fondina,
la sigaretta in bocca e addosso il mio trench. Il solito vecchio
trench.
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